Oltre 200 miliardi di dollari. È il tesoro che Muammar Gheddafi è riuscito a nascondere all’estero. A rivelarlo è il Los Angeles Times online citando alti ufficiali dell’amministrazione libica. Quei 200miliardi di dollari arricchiscono la «torta libica». Una torta da centinaia di miliardi di dollari, legati allo sfruttamento delle risorse petrolifere ma anche alla ricostruzione del Paese. L’eredità del raìs fa gola a molti. Anche in Italia. Tra questi, ci sarebbe il Cavaliere. «Più vicina ora l’eredità del socio Berlusconi, dopo la morte di Gheddafi, che insieme all’altro socio Tarak Ben Hammar hanno la partecipazione della Quinta Communications acquistata due anni fa dalla famiglia del raìs», rimarca in proposito il senatore dell’Italia dei Valori e capogruppo del partito in commissione Esteri Stefano Pedica.
Nel 2009 Gheddafi era entrato col suo capitale nella società messa in piedi vent’anni fa da Berlusconi e Ben Hammar per la produzione e distribuzione di film. Due anni fa il coup de théâtre: Gheddafi viene inglobato nella società, da allora non risulta sia cambiato nulla - continua Pedica - anzi l’ultima precisazione è del marzo scorso, quando lo stesso BenHamnmardichiarò: «Il fondo sovrano libico Lybian Investment Authority, attraverso la società Lafi Trade, è presente con il 10% in Quinta Communications S.A, società di diritto francese controllata al 68% dal finanziere franco tunisino Tarak Ben Ammar, dove è presente anche la Fininvest, con una quota del 22% detenuta attraverso la controllata lussemburghese Trefinance». «Abbiamo le carte- insiste Pedica - e spiegheremo perché siamo convinti di essere di fronte ad un palese conflitto di interessi del presidente del Consiglio».
Da (ex) amico a erede. Affari e fondi sovrani. Petrolio e ricostruzione. Armi e infrastrutture. 140 miliardi di dollari: è l’ammontare dei contratti sottoscritti complessivamente con il regime di Gheddafi dalle 130 aziende italiane impegnate in Libia. In ordine sparso, solo per citarne alcune: Eni, Enel, Finmeccanica, Ansaldo, Iveco spa, Augusta-Westland, Alenia Aermacchi, Oto Melara, Intermarine spa, Selex Sistemi Integrati, Mbda Italia. E ancora: Telecome Alitalia, Edison e Grimaldi, Alenia Aermacchi e Martini silos, Gruppo Trevi e Impregilo, Italcementi e Astaldi, queste ultime impegnate nell’opera di infrastrutturazione della Libia, a partire dai 1.700 km della nuova superstrada Rass Ajdir-Imsaad, la cui realizzazione è stata affidata, dagli uomini del Colonnello, a imprese italiane. L’asse degli affari Tripoli-Roma investe anche le Banche, settore sul quale la Libia ha messo gli occhi e anche molti soldi. La Libyan Investments Autorithy - il braccio finanziario di Gheddafi nato con lo scopodi gestire i proventi del petrolio - ha incrementato (2010) la propria partecipazione in Unicredit, facendo così lievitare l’intera compagine libica oltre il 7,5%, visto che la Banca Centrale Libica e la Libyan Arab Foreign Bank sono insieme titolari del 4,98%.Nel 2002 il fondo Lafico ha acquistato il 5,31%della Juventus calcio, corrispondente a circa 6,4 milioni di euro in azioni. Nel 2009 la partecipazione è salita al 7,5 per cento. Il fondo libico possiede azioni di Mediobanca per 500 milioni di dollari, e il26%di Olcese, un’azienda tessile. Nel 2000 il fondo è tornato a investire in Fiat, acquistando il 2% delle azioni della fabbrica automobilistica.
Oggi la Libia possiede una quota di Fiat di poco inferiore al 2%. Dalle banche alle costruzioni. La voce più importante è quella relativa all’Autostrada sulla costa mediterranea libica: il Trattato di amicizia - sottoscritto nell’agosto 2008 da Berlusconi e Gheddafi - prevede che Romaversi a Tripoli 5 miliardi di dollari per la realizzazione dell’opera alla quale partecipano 21 imprese italiane. Sempre nel settore, è da registrare che a Lybian Development Investment Co si è associata con l’Impregilo Lidco, che ha ottenuto contratti per 1 miliardo di euro per la costruzione di tre centri universitari e infrastrutture a Tripoli e Misurata. Venti miliardi di dollari: è quanto ha investito l’Eni in Libia. Negli ultimi 10 anni la società petrolifera italiana ha investito lì 50 miliardi di dollari. Nel2009 Finmeccanica ha sottoscritto un memorandum d’intesa col governo libico per la cooperazione in un vasto numero di progetti in Libia, Medio Oriente e Africa.
L’accordo prevede la creazione di una joint venture di cui faranno parte Finmeccanica e il fondo Lafico. Da gennaio iI fondo Lia detiene il 2,01% di Finmeccanica. La società italiana ha vinto diversi contratti d’appalto in Libia, tra cui uno del valore di 247 milioni di euro per la costruzione di una ferrovia. Nel gennaio 2008 Alenia Aeronautica, altra società del gruppo Finmeccanica, ha siglato con il ministero dell’Interno libico un contratto daoltre31milioni di euro per la fornitura del velivolo da pattugliamento marittimo ATR-42MP Surveyor. La nuova Libia dovrà dotarsi di regole sulla concessione di appalti petroliferi e non deve affidarsi a scelte politiche. Il monito viene dal primo ministro del Cnt, Mahmoud Jibril. «Avviso il nuovo governo che le regole economiche dovrebbero essere la Regola. È molto pericoloso avere contratti politici». Tutti i contratti saranno mantenuti, ripete il ministro Frattini. Ma sono in molti a dubitarne.
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